Giornata cuscinetto, di quelle che servono per attutire il colpo del get leg, che a quanto pare quando si viaggia in senso “antiorario” pare pi? un jab leg.
Anche se poi in realt? quando sei a 10000km di distanza da casa tua non c’? mai del tempo perso.
In giro randomicamente per Hanoi, a vedere quello che capita, a parlare di quello che capita, a sentire quello che capita, a capire quello che capita.
Mausoleo di Ho Chi Min, una specie di Fidel Castro che si ? dato da fare in tempo di colonialismo francese.
Laghi e laghetti, in pratica Hanoi ? una Finlandia compressa in citt?. Ad oggi ne ho contati almento sei. Uno addirittura, probabilmente era di troppo, l’hanno prosciugato per costruirci qualcosa di ancora non ben definito.
Ovviamente non manca specchietto d’acqua che non abbia il suo bel pezzo coltivato a fiori di loto.
E poi mercati vari, che come in ogni paese dell’asia che si rispetti, sono uno straordinario trattato di antropologia.
Quelli che pi? sono stretti e pi? c’? gente. Quelli in cui vendono tutto e quel tutto ? talmente tanto che ci sono bancarelle monotematiche. (ruote di biciclette, testate di motorini, telefoni col filo, telefoni senza, etc etc.), In cui ovviamente il 90% del vendibile ? rubato.
Tralascio il traffico, perch? credo che non esistano parole adatte e sufficienti per descrivere il traffico.
Perch? Hanoi non ? una citt? trafficata ? solo diversamente mobile.
Ed ecco perch? ti ritrovi la sera alla festa di presentazione della nuova Vespa. Esatto, proprio quella. La marca almeno, il modello ormai non ? pi? quello di una volta.
Evento mondano, con tanto di red carpet che ho selvaggiamente calpestato con un paio di infradito per niente all’altezza della situazione. Ma se lo fa uno straniero fa un po’ vezzo d’artista.
Confuso per uno importante e stordito dall’afa che – non lo fa per lavoro – e quindi non stacca alle sei, cerco conforto davanti ad un ventilatore di un metro di diametro e tra volti minimamente noti, oltrech? idiomi minimamente conosciuti.
Tanto che alla fine ci scappa anche un giro in un locale. Un pub, praticamente. Che non ha niente di tipicamente vietnamita se non un gruppo che fa musica dal vivo e che probabilmente non ? nemmeno vietnamita. (laos? cambogia? corea? vallo a capi’, so tutti uguali).
Perla della serata: fuori programma con pazzachesalesulpalcoeurlaqualcosaalmicrofono. Ovviamente non ho capito cosa ha detto e nessuno al tavolo ha saputo dirmelo (d’altra parte ? quello che ti capita se decidi di circondarti di volti minimamente noti che parlano idiomi minimamente conosciuti).
Dopo averla portata via di peso dal palco non se ne hanno pi? notizie. Niente di pi? facile che sia stata sciolta nell’olio. Di soia.
Poi un surreale ritorno in taxi, in un traffico – o mobilit? diversa – che dopo mezzanotte ? ancora pi? sui generis.
Tutto ci? elargendo pezzi di carta di cui ancora non ho imparato il valore – al momento mi regolo soltanto secondo tre espressioni base: aggrottamento sopracciglia con aggiunta di frasi chiaramente piene di astio, indifferenza e sorrisi accompagnati da “thank you”.