Proviamo a chiudere gli occhi e ad immaginare di essere nell’Africa Occidentale degli anni ’60. Il colonialismo ? appena finito, le truppe militari francesi sono andate via e nei palazzi di governo di tutta la regione ormai siedono solo capi di stato Africani. Le popolazioni sono gioiose, hanno voglia di costruire il proprio futuro con le proprie forze, nella maniera che ritengono pi? giusta ed equilibrata. In Mali, nella provincia di Bla, a circa 120 km da S?gou, vive un pastore cattolico, Padre Verspieren, originario del nord della Francia e grande appassionato di agricoltura. In Mali lo conoscono in molti, fa parte dei Padri Bianchi, cos? si chiama il suo ordine, dall’inizio degli ‘anni 50 ha costruito molte scuole e chiese in varie regioni. Quando arriva sulle sponde del fiume Ban? (un grosso affluente del pi? conosciuto fiume Niger che ne riceve le sue acque molto pi? a nord nei pressi della citt? di Mopti) il padre ? a caccia di antilopi. Si ferma sotto l’ombra di un “cailcedrat” per riposare e per incontrare gli abitanti del luogo. Eccolo fare amicizia con un pescatore locale, Lamine Somak?, esponente dell’etnia Somono. Il luogo dell’incontro ? affascinante, grandi dune di sabbia che si tuffano direttamente nelle acque del fiume, il sole all’alba e al tramonto sembra sorgere e poi morire dalle acque, la vegetazione ? rada, pochi alberi ad alto fusto e soprattutto arbusti spinosi. Un posto magnifico in cui soggiornare, ma proprio difficile per poterci vivere stabilmente. Forse ? proprio di questa difficolt? che stanno discutendo il pescatore Somono ed il Padre Versperien, di queste terre vaste ma poco produttive, aride e incolte, che toccano il fiume come per dargli un bacio sfuggente piuttosto che abbracciarlo ed impregnarsi di esso. Lasciamoli un attimo qui questi due nuovissimi amici che si stanno conoscendo…
Proviamo adesso a riaprirli gli occhi, nel gennaio 2011, sulla stessa sponda del fiume Bani, il “cailcedrat” ? sempre l?, ? cresciuto ma non troppo, ? rimasto quasi uguale all’epoca in cui padre Versperien si riposava e discuteva con Lamine, ma ? proprio difficile da individuare, ? nascosto, coperto. Eppure ce lo ricordiamo come un grosso albero nel mezzo del nulla, immerso in un deserto di sabbia, invece adesso qui c’? un bosco, una foresta di Eucaliptus, qua e l? qualche Mango, un po’ pi? numerosi i Neem. Tra gli alberi si possono ascoltare i canti di mille specie diverse di uccelli, una sinfonia che si mescola a quella del vento tra le foglie. Tra le aiuole del sottobosco spuntano mille fiori colorati, il rosso rubino del Bissem e poi l’arancio, il violetto, il verde smeraldo, il verde pisello e il pastello. Pavoni e Gru scorrazzano liberi, nelle loro andature sontuose, come delle modelle sopra una passerella di una sfilata eccezionale, il cui unico stilista si chiama “Natura”, che per millenni propone sempre gli stessi “abiti” e che, magicamente, non passano mai di moda.
“Ci troviamo nell’oasi di Teriya Bugou, La casa dell’amicizia” ? cos? che mi accoglie il direttore. Si chiama Al?, ? un maliano, Bambar? originario di Timbouctou, cresciuto a Bamako, ha deciso di abbandonare la citt? per tornare alla terra. E’ lui che mi fa visitare l’oasi e che mi spiega tutto quello che vi ? contenuto.
Partiamo dall’albergo, camere e bungalow in tipico stile locale, che ricordano dall’esterno le suggestive capanne e che all’interno sono per? fornite di tutti i confort, dal climatizzatore all’acqua calda. Tutta la struttura alberghiera ? affacciata sull’immenso giardino sul fiume, gazebo, bar e piscina mettono voglia di restare in questo posto per tutta la vita. Il ristorante ? ricavato in una nicchia dell’edifico principale, propone piatti locali ed europei, secondo men? prestabiliti o da scegliere “alla carta”. Per i bambini c’? a disposizione un parco giochi, un campo di basket e uno di calcio. Se ci si vuole attivare si pu? partire per mille escursioni, in piroga sul fiume a pescare con i Bozos, nei campi di miglio e sorgo con i contadini, a cavallo attraverso i villaggi ed i mercati dei dintorni.
“Non pensate di trovarvi in un posto fuori dal mondo, esclusivo per Toubabu (bianchi in lingua locale), qui siamo in una struttura di Maliani, gestita, organizzata e programmata dai Maliani” ? cos? che il Direttore anticipa le risposte alle domande che iniziano a frullarmi in testa. “Ho iniziato a farvi visitare l’oasi dall’ultima creazione, l’albergo, il passaggio finale di un lento sviluppo del territorio che ? cominciato anni ed anni fa. Per far funzionare un albergo occorrono per prima cosa acqua e corrente elettrica, ma qui siamo lontanissimi da qualsiasi rete elettrica e da qualsiasi acquedotto, andiamo a vedere come abbiamo ottenuto l’una e l’altra.”
A qualche centinaia di metri dal cuore dell’albergo c’? un capannone, avvicinandosi si sente il rumore di un motore, ovviamente un generatore di corrente, di quelli grossi, capaci di mandare in scena un concerto, in questo caso illumina tutto l’albergo. L’odore che emette ? per? molto particolare, di sicuro il residuo di una combustione, un po’come l’odore di fritto dopo che la nonna ha fatto le cotolette, ma di certo non ? gasolio. Ed ecco la bellissima scoperta, il generatore di corrente funziona ad agrocarburante, con l’estratto del seme di una pianta chiamata Jatropha Curcas. Il suo olio ? utilizzato per la combustione esattamente come avviene per i pi? “famosi” olio di colza o di canna da zucchero, ma ci? che pi? ha d’interessante questa pianta ? che ? molto pi? rispettosa dell’ambiente e meno invasiva rispetto alle altre due citate. Significa che con il territorio circostante, anche se viene coltivata in maniera intensiva, instaura un rapporto di equilibrio. Le colture locali, come possono essere il miglio, il sorgo o le varie verdure dell’orto, non vengono infestate e possono continuare ad essere produttive. E questo equilibrio ? visibilissimo qui a “Teriya Bugu”. Grandi appezzamenti di terra sono coltivati a Jatropha, ma proprio a fianco abbiamo i bananeti, i manghi, i campi di cereali, le verdure, tutto integrato e tutto in produzione.
“Il mistero corrente elettrica ve l’ho svelato, 100% ecologico, passiamo a vedere come funzione per l’acqua“. Ritorniamo ad avvicinarci al fiume, superando le colture e i vivai. In due differenti recinti sono ospitate 2 serie di pannelli solari. Ciascuna ? allaccciata ad una pompa, tutte e due tirano acqua che viene stoccata in 2 distinti serbatoi. Una delle pompe ? immersa in un “forage” che capta la falda profonda, acqua di qualit?, destinata ad essere bevuta, dopo potabilizzazione con filtro. Una parte di quest’acqua passa attraverso un ulteriore serbatoio legato a due pannelli solari aggiuntivi, ? qui che si produce l’acqua calda per le docce. La seconda pompa ? immersa direttamente nel fiume e l’acqua che ne trae ? utilizzata per irrigare i campi ed innaffiare i giardini.
“Fare una vacanza nella nostra oasi non ? solo un’opportunit? per rilassarsi, svagarsi, beneficiare dei confort e del quadro dipinto dalla natura, ma ? soprattutto un atto consapevole di sostegno ad un’intera popolazione che vive grazie a questa struttura. Ben 48 impiegati e di conseguenza le loro famiglie, circa 400 persone, vivono del lavoro nella nostra oasi.” Una parte delle rendite dell’albergo sono infatti reinvestite per far funzionare i servizi di base del villaggio nato sulla spinta di Teriya Bugu. E’ quindi funzionante una scuola per il primo e secondo ciclo, un dispensario farmaceutico con maternit? e personale medico fisso, una produzione agricola regolare, un’apicultura, una scuderia con asini e cavalli.
Potrei raccontarvi di cosa si sono detti padre Vesperien ed il pescatore Lemine all’ombra del “cailcedrat” tanti anni fa, potrei elencarvi 30 anni di lavori, progetti, mattoni che si susseguono uno sull’altro, ma credo che se adesso di nuovo chiudiamo gli occhi sarebbe facile, ma soprattutto bello, immaginarcelo ognuno a modo proprio. Essere in viaggio in Mali, fare tappa a Teriya Bugu, vivere qualche giorno dentro questo progetto ? quanto di pi? naturale si possa fare per rigenerarsi e contribuire allo sviluppo locale.